Si era alzata anche quella mattina come tante altre volte, non le contava più, alle cinque; era buio. Lo faceva da tempo indeterminato, lei stessa non ricordava da quanto. Automaticamente aveva infilato le pantofole e la vestaglia sul pigiama, aveva attraversato, nella penombra, il corridoio sino alla cucina stando attenta a non fare rumore per non svegliare i suoi che dormivano. Al fornello ed al tostapane, prima, al frigorifero e al microonde, poi, aveva pensato a tutti: caffè nero e pane tostato per suo marito; yogurt greco, macedonia e cereali, succhi di frutta per il figlio e per la nuora, latte e cornetti da farcire con la nutella per i due nipotini, di otto e tredici anni, le sue due pesti, aveva pensato. A tutti, fuor che a lei, “Per me? Mah, mangio strada facendo”, si era domandata e risposta da sola, tra sé e sé, rosicchiando una delle patate fritte, ormai rinseccolita e gelida, unico avanzo rimasto della cena serale precedente. Si era seduta, già stanca, alla finestra: albeggiava, come sempre e, come sempre, aveva visto l’identica prospettiva di case popolari a parecchi piani, tutte grigie, tutte allineate, tutte uguali, in fila, dritte a bucare non sapeva se il cielo o l’orizzonte, perché intanto da lì non riusciva a vederli. Si erano alzati dopo le sette anche i suoi; stessi rumori di passi dappertutto, di rubinetti e di sciacquoni aperti, stessi richiami verbali, stesse frasi, stesse scene di sempre come in un copione: tutti a tavola, poi, finita la colazione, a due a due erano scivolati via oltre la porta, sparendo nel lontano, come sempre. Anche suo marito, era sgusciato via, per via, aveva detto, del cane che mandava strani segnali, ma lei sapeva bene che lo aspettavano, alla bocciofila, i soliti amici. Di nuovo sola, aveva rigovernato, messo a posto i disordini altrui e pulito, come sempre. Poi, assai prima rispetto alla routine di tutti gli altri giorni, si era cambiata, aveva indossato cappotto, cappello, sciarpa e borsa ed anche lei aveva aperto la porta di casa per uscire, provando un piacere insolito e particolare nel sentire che si richiudeva, sbattendo, alle sue spalle. Era scesa in strada ed aveva assaporato sulla pelle del viso l’umidità fresca del mattino, respirando forte e facendo fumetti con le narici, gonfiando la bocca e soffiando poi con la gola, come faceva da bambina, contro l’aria ancora fredda degli inizi di marzo, ma non le era dispiaciuto, anzi quel frizzante limpido appena soleggiato che l’aveva avvolta, le era sembrato improvvisamente più che piacevole come se fosse stato un insolito regalo dedicato solo a lei: una fantasia? Non sapeva. Camminava lentamente lungo il marciapiede, senza avere una vera e propria meta, guardava le insegne e le vetrine dei negozi, anche di quelli in cui entrava giornalmente per la spesa, ma questa volta non era entrata come faceva di solito, era passata oltre, le era andato di fare proprio così quella mattina. Non perché si sentisse stanca ma perché si sentiva attratta dalla prima panchina completamente libera del parco, si era seduta, aveva allungato le gambe, mettendo le mani a pugno dentro le tasche, affondando il collo e le orecchie nel calore della sciarpa e nell’incavo delle spalle e forse, chissà, si era anche appisolata. D’un tratto, una specie di strattone l’aveva svegliata; istintivamente aveva portato le mani sulla borsa a tracolla per difendersi e difenderla, ma che non ce n’era affatto bisogno, se ne era resa subito conto. Sul viale che costeggiava il parco, in quel momento, stava sfilando un corteo, tutte donne, di età molto diverse, con pezzi di lenzuola bianche a mo’ di striscione su cui c’erano delle scritte che, nella confusione di quel momento, non le riusciva di distinguere e leggere. Ah, intanto si era accorta che era stata una ragazzona alta, dalle forme robuste e prosperose ma dal volto sorridente, gioviale e gentile anche ben truccato, ad agganciarla sulla panchina, a prenderla sottobraccio e a trascinarla nel mezzo del corteo, invitandola ad unirsi e restare o qualcosa di simile o giù di lì. Non aveva reagito all’invito, negandosi, come si era abituata a fare, non si era sottratta all’invito, né aveva opposto resistenza, né si era schermita, anzi si era lasciata condurre docilmente, immergere e sommergere, senza recalcitrare, da quella marea colorata, vociante e vivace di volti e di corpi di donne in festa, tutti stretti assieme; stranamente si era sentita improvvisamente molto bene, le era ritornato gradevolmente in mente quando, da ragazza, d’estate, andava al mare, si alzava di buon mattino, si recava in spiaggia e s’immergeva per farsi una nuotata. Ne usciva sempre rinnovata, fortificata e questo benessere l’accompagnava per tutto il giorno. Ecco proprio così si era sentita allora e si sentiva, dopo tanto tempo, ora. Era rimasta dunque; tanto che, alla fine, si era ritrovata in piazza e lì aveva ascoltato per molto tempo musica assordante sparata troppo forte dagli altoparlanti, scambiato diverse chiacchiere, confidenze e risate con molte sconosciute, non solo, ma qualcuna di loro le aveva infilato dei fiori tra le mani ed ad un certo punto anche un bicchiere di carta colmo di ponce bollente. Sapeva bene che sarebbe finita, che era solo una festa, che le feste sono quello che sono, contano per quello che contano, durano per il tempo che durano, sempre troppo poco, purtroppo e che, subito dopo, c’è di nuovo la realtà di tutti i giorni, della dura quotidianità, della disconferma sempre pronta e tutti i bla, bla, bla, del via discorrendo sul monotono del quotidiano che lei ben conosceva, ma non le importava, lei c’era stata a quella festa, c’era stata bene lei insieme alle altre, anche se non l’aveva detto a nessuna di loro. Questo pensiero, si era detta, le era piaciuto molto, le sarebbe bastato per molto, pensava e forse, chissà, sarebbe stato l’avvio di un cambiamento. Tornando a casa, quel giorno. si era sentita leggermente eccitata, forse anche un po’ strana, un po’ diversa da come si sentiva di solito. Al portone, aveva sorriso e maliziosamente scommesso sul futuro di quella giornata, ora anche lei aveva, nuovamente, una giornata da non dimenticare facilmente, forse anche da raccontare. Dicessero pure, gli altri, quel che dicessero, contasse o non contasse, per lei quella giornata stava contando, eccome, e avrebbe contato ancora nei giorni a venire.