DAL MARE ALLA COLLINA

Inizio della primavera. Annina ha otto anni, raccolta nel suo grembiule rosa, si accoccola sull’erba incipiente del prato e spalanca gli occhi sullo splendore del mare sottostante. Appare inquieto e luminoso e ripropone gli stessi guizzi blu che hanno i suoi occhi. Annina è felice perché si può riposare finalmente. La sua è stata una corsa ininterrotta in salita per arrivare, dagli asfalti serpentini della strada che costeggia la scogliera, su, su, per sentieri e scalinate, sino in cima alla collina. Ancora uno dei giochi inventati da lei: provare, sfidando sé stessa, a lasciarsi alle spalle, in basso, le madreperle della sabbia per ritrovare, sul pendio, la solida architettura degli ulivi.  Infine: sfiorare con i piedini, come se a ogni istante stesse quasi per spiccare il volo dalla gioia, i campi delle ginestre e delle eriche. Si sente compiaciuta, ammira stupita la curva cobalto dell’orizzonte che si estende davanti a lei e che si spezza a ponente in corrispondenza dell’isolotto che lei chiama scherzosamente la sua regina sommersa dal capo coronato, per via di alcuni ruderi che troneggiano sulla sommità e che li fanno assomigliare, da lontano, ad un diadema. Come per un richiamo antico, si alza, incrocia le gambine, flette le ginocchia, inclina la testa sul petto, prova una riverenza come ha visto fare alle ballerine in tutù. Protende poi le braccine, le mani e le dita aperte verso quella cara immagine lontana, è certa di riuscire a toccarla, ad accarezzarla. Danza con lei, totalmente trasformata e dimentica, nell’incanto di un abbraccio desiderato.

SUOLO

Tempo d’ estate. Annina ha ora dieci anni, come ogni altro giorno, indossato il suo grembiule rosa, è tornata a sedersi sull’erba. Ha ripreso con la mente il suo consueto gioco di fantasia insieme alla sua isola regina, questa volta consapevolmente e completamente arresa al quieto e dolce sodalizio di cielo, mare, terra. Si fa proteggere dalla natura come da un abbraccio che è insieme per lei sia paterno che materno. Il mare è cobalto immobile, l’aria trasparente e pulita, l’isolotto, da lei trasfigurato in forme regali, è ancora là. D’un tratto, il canneto alle sue spalle è abbattuto da un vento violento, improvviso, sopraggiunto senza invito. Un’ombra in agguato si è insinuata tra le canne, si stacca come fosse una canna frustata, striscia verso di lei, si abbatte su di lei, l’afferra, la tiene stretta, si allunga su di lei, fa crollare il suo corpo con un fendente. Riversa sul suolo che percepisce per la prima volta, deserto e arido, con il petto scoperto e oppresso, Annina, osserva sopra di lei movimenti di nuvole scure; le appaiono inutilmente indaffarate. Rivolge disgustata lo sguardo altrove, a ponente, le appare l’isola; è solo una grossa pietra scabra sull’acqua; è finta la sua regina sommersa, è falso il suo diadema sulla cima, pensa. Si percepisce sola, chiusa dentro a un corpo non più suo, ormai reso simile ad un involucro vuoto, insensibile, indesiderabile, assiderato.

SOTTOSUOLO

Pieno inverno. Annina ha vent’anni. Nella sua camera da bambina resa decrepita da silenzi e solitudini, intreccia soliloqui interminabili dentro meriggi malinconici e malati. Le ore scorrono uguali a sé stesse come quelle dei vecchi. Nel profondo del suo sé, solo gelo dovunque, labirinti e caverne, nidi di ragni e pipistrelli, scorpioni e vipere, pietre e polvere. Le tengono compagnia due emozioni, il dolore e la rabbia, ma anch’esse sono simili a grani d’incenso maleolente, non sanno accendersi ed ardere, residui futili. Tutte le finestre della stanza hanno tende fitte e tirate, la paura di   cercare le ha negato ogni curiosità, le voglie sono fantasmi che hanno firmato una resa incondizionata sui muri della sua rinuncia. Da tempo non sente più affetti nel corpo e nella mente. Nelle sue memorie, solo ripetizioni in copia di cristalli mortiferi, file infinite di alberi nudi, pietrificati e neri, rami spezzati, rovi e sentieri che si perdono al limite di orridi vertiginosi. Annina parla a sé stessa e si ripete che non vale la pena neanche di sognare, le bastano il sonno e la sua devastazione consueta.

L’ISOLA RITROVATA

Pieno autunno. Oggi Annina ha compiuto gli anni, sono tanti, non è più giovane.  Come al solito, si è alzata, si è lavata il viso, si è guardata a lungo allo specchio, ha scrutato ogni più piccolo particolare del viso che le appartiene ed ora finalmente si riconosce. Le riesce persino di meravigliarsi, di interrogarsi, di inquietarsi per sciocchi nonnulla, così lei li definisce, come le zampe di gallina ai bordi esterni degli occhi e le pieghe lunghe ai lati delle labbra, già, pensa, prima non c’erano. Non si ritrae disturbata, anzi, distende il suo pensiero e lascia che la sua mente, non più assediata dalle sue stesse difese, liberi le idee. Una, in particolare, da qualche ora, preme sulle altre e più delle altre per emergere, per definirsi. L’idea suggerisce di andare oltre… oltre l’opposizione dei tanti detriti accumulati ed ereditati dal passato, l’incertezza colpevole di possibili atti lontani, la frammentazione angosciante data da rabbie antiche e ricordi dissepolti, un’immensa discarica abusiva, lei ora pensa e   mentalmente si dice, tutta da eliminare. Eccitata Annina cerca nel guardaroba, tira fuori l’abito di seta cruda e lo scialle di vigogna stampati a fiori di mimosa. La sequenza quasi meccanica dei suoi gesti curiosamente l’aiuta a far crescere e maturare ulteriormente in lei l’idea prorompente, a chiarirla e definirla in una decisione: uscirà. Oltre la porta della sua stanza nuove convergenze l’aspettano, nuove   solidarietà, nuove alleanze, tutte da inventare, con cielo, terra, mare e con altre isole simili a lei, da incontrare o da ritrovare.

Poco dopo è in strada, sulle labbra un sorriso colorato appena di rosa, c’è un sole nuovo tutt’attorno e al suo fianco cammina con lei e le fa compagnia una nuova ombra: la forza della sua innocenza.

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