Gruppo di lettura Groppallo 07-03-2019
Le ragazze di San Frediano di Vasco Pratolini
Riflessioni in libertà
Leggendo il libro Le ragazze di San Frediano, lo devo riconoscere, mi è capitato di sentirmi come improvvisamente catapultata in un’altra età, in un altro tempo, quello della metà del Novecento italiano, che sorprendentemente mi è parso lontano, molto lontano, forse troppo, dai miei giorni attuali. E dire che negli anni in cui lo scrisse e pubblicò l’Autore ero probabilmente ero già venuta al mondo, magari ero piccolissima, in fasce, quando le vicende e le schermaglie amorose, narrate con la consueta discreta efficacia dallo scrittore nel libro e collocate nel quartiere, notoriamente povero, popolare e fiorentino di San Frediano venivano anch’esse alla luce. Forse quel mondo trascorso, se non l’avevo direttamente conosciuto, mi teneva in qualche modo dentro, mi viveva dentro, mi spingeva a restarvi attaccata, a soggiornarvi con la curiosità e l’attenzione proprie di un turista interessato a quel mondo…in particolare.
Infatti, già adulta matura, negli anni novanta, ho avuto la possibilità di visitare, abitare saltuariamente proprio nei luoghi prossimi a quelli richiamati dal libro, ossia, il quartiere di San Frediano a Firenze. A parte alcuni tabernacoli di dignitosa e medievale vetustà, alcune strutture storiche rinascimentali, architetture tuttora in piedi e ben presenti, non erose, per fortuna, dal tempo e dagli uomini, il restante era niente di niente. Tutto passato, tutto finito, concluso, come si conclude un’epoca storica mentre la vita continua ma ti accorgi che è diventata tutt’altra cosa.
Quel quartiere aveva avuto mantenuto inalterata nel tempo una sua anima radicale, forte, polemica, popolare, qualche diceria lo descriveva malfamato, che lo attraversava, lo riempiva di vita, dei suoi umori, dei sue ardori, dei suoi fervori, al pari degli odori, dei profumi, degli aromi che si spandevano dalle finestre aperte delle case, dai fondaci fuligginosi, dalle botteghe ombrose ai pianterreni spalancate sui marciapiedi ciottolosi e per finire dai cosiddetti “fondi”.
Facciate ristrutturate e ben levigate. Palazzine linde con appartamentini e relative terrazzine civettuole e fiorite, affittate ai turisti o a gente di passaggio da affittacamere anonimi, magari neanche di Firenze; e che dire dei tanti negozietti tramandati da padre in figlio come seguendo un inconscio imperativo categorico, intimo, tradizionale e personale insieme? Niente. Tutto rifatto, supermercati, trattorie, librerie, antiquariato, negozi raffinati per collezionisti, negozi di abbigliamento alla moda, bar, caffè ultramoderni con i tavolini di legno al posto del marmo…Tanti. Un posto per me quasi irriconoscibile. Come irrintracciabili risultavano i gruppetti di amici di vecchia data di San Frediano che, sfaccendati e riuniti in piccoli capannelli, in un fiorentino molto stretto, commentano i fatti del giorno rigorosamente a voce alta non risparmiando le sferzate polemiche contro amministratori locali e politici, mentre guardano le gambe alle ragazze che passano e talora pure fischiano nella loro direzione. Niente. Una vecchia donna, un tempo bella, altera e popolana al tempo stesso, si è rifatta con il lifting l’immagine ma non è più lei anche se a tratti in un angolo o in un accento inaspettati sembra quasi riemergere nella sua fisionomia vera, nella sua identità passata.
Forse, se ci penso, riandando al libro, c’è una figura da protagonista che non sembra temere il trascorrere del tempo e pur camuffandosi non cede e tiene duro sulla sua presunta identità, lungo i decenni e i trapassi di secolo; è una “figura-figura” tipica, indigena che, lo possiamo dire, si è modernizzata nell’aspetto esteriore; non ha più sorrisi larghi ed accattivanti da trentadue bianco-colore, capelli rigorosamente lucidi di brillantina a fasciare tempie e nuca, occhi languidi e lucidi, petto abbronzato e moderatamente peloso di un pelo composto che si mostra spuntando dalle camicie di seta ,dal collo e dai polsini aperti, infilate nei pantaloni aderenti tenuti strettamente in vita da un cintura di pelle ma rigorosamente stirati e piegati con qualunque stoffa siano stati confezionati. Magari oggi sono tronisti, reginetti di intrattenimento televisivo (ma non solo quelli) pettoruti e muscolosi come i sollevatori di pesi, dal bacino stretto, gli attributi enfatizzati da slip imbottiti, la pelle dell’intero corpo completamente glabra e ognora abbronzata dalle lampade, uomini che scimmiottano attori del cinema al pari del protagonista del libro o più spesso cantanti interplanetari, che spendono in estetica e palestra tanto, forse anche di più di una modella o di un’attrice. Sono se non lo avete ancora capito i latin lover nostrani quelli che nel tempo hanno aggiunto molti cognomi al loro nome iniziale; il vocabolario ne è zeppo; sbizzarritevi pure nella ricerca dei sinonimi, lascio a voi la scelta; vi accorgerete che sostanzialmente ostinatamente gelosamente sotto qualunque definizione o vocabolo, antico e recente, italiano o straniero, li collochiate conservano la loro indole indenne nei secoli dei secoli e con essa la ripetitività delle loro gesta eroiche.
Don Giovanni, bel ami, seduttore, gallo, macho, casanova, sciupafemmine (una specie particolare che comunque appare forse rientrare in una sottospecie mutante) bel tenebroso, adescatore, rubacuori, incantatore, ammaliatore, lusingatore, playboy, gigolò, bellimbusto, conquistatore, accalappiatore, corruttore, istigatore e chi più ne ha più ne metta… la stessa identità la stessa fissità di sindrome e di sintomi, la stessa partitura musicale scialba e nonocorde, le stesse fiacche e stereotipate presentazioni, la fissità funzionale dei comportamenti, la stessa noiosa, lasciatemelo dire, messa in scena, trama o copione, dalla prima battuta all’ultima, il remake di un film già visto tante tantissime altre volte, quindi, come minimo, una barba solenne!
Ma nel libro di Vasco finalmente c’è una contropartita, diciamo un inatteso finale, nei confronti del Don Giovanni di turno, impersonato da Aldo, per tutto il quartiere ma soprattutto per le ragazze del quartiere, conosciuto come Bob dalle sue… ben 2003 con la Spagna in totale! Un epilogo che non è necessariamente un funereo e macabro convitato di pietra che si erge ieratico a maledirlo per sprofondarlo all’inferno, bensì un’arguta ed ironica vendetta ad opera di una donna tenace insieme a una ben studiata e architettata pianificazione resa possibile da un gruppo di altre donne, accomunate nella stessa sorte, quella di vittima, finalmente capaci di allearsi tra loro, sia pure per una causa/impresa non più procrastinabile, molto privata e personale ma insieme anche molto partecipata e di gruppo. Grazie a queste ragazze di San Frediano, trasformate in moderne Erinni, un bellimbusto è reso innocuo e incapace di mietere con cinismo e noncuranza ancora i suoi allori a spese di altre malcapitate e forse, chissà, con un accenno di possibile crescita finalmente?
Di tanto in tanto questi uomini, brutta copia delle femmine che seducono, vengono messi di fronte a se stessi, indotti in poche parole, a riconoscere la loro reale e profonda natura, quella immatura, infantile, narcisistica, debole e paurosa che si disvela di fronte non tanto alla femmina che illudono e circuiscono, illudendola e ammantandola di lodi e complimenti fasulli, ma dinnanzi alla potenza che può sprigionare l’amore quello vero, per una donna, quello autentico, maturo, che dura e si evolve nel tempo, che costoro profondamente rifiutano, da cui essenzialmente fuggono, non intendono avvicinare e la cui possibile realizzazione non solo li spaventa ma addirittura li terrorizza letteralmente, li induce puntualmente a darsela a gambe levate come tutti i codardi, a sottrarsi, ufficialmente, ma sotto sotto ipocritamente a svicolare alla ricerca di qualcun’altra da abbindolare; di fronte all’amore la sola cosa che gli riesce di fare bene non è adulare, operazione in cui comunque sono maestri, ma scappare.
Vasco mi è parso aver preso una posizione decisa su questo tema, persino un po’ troppo decisa, qualcuno può osservare. A me non pare. Letterariamente o meglio nell’inventio creativa dello scrittore, a mio avviso, egli si è mosso piuttosto bene e lo apprezzo per averlo fatto con l’intelligenza e il sorriso, con l’umorismo e l’ironia cui non ha fatto mancare neanche il lato comico finale.
P.S. Certamente l’episodio della vendetta, con i suoi lati anche volutamente esasperati e tragicomici, è frutto dell’invenzione artistica dello scrittore ma a me piace pensare che qualche notizia su possibili fatti analoghi (?) gli sia stata tramandata dal chiacchiericcio proveniente proprio da quei vicoli pieni di odori profumi ed inviti conditi con lusinghe e ammiccamenti amorosi, dei suoi tempi o forse, chissà, di quelli della sua nonna o di quelli della sua mamma.