“Le parole per dirlo” di Marie Cardinal
(Bompiani, 1975)
L’autrice
Chi è Marie Cardinal? Una scrittrice, nata ad Algeri, proveniente da una famiglia alto borghese da una famiglia molto agiata, una madre cattolica, piena di pregiudizi, che non accetta l’amore della figlia in quanto non l’ha voluta, ma non sa neppure come rapportarsi con una figlia; un padre assente per scelta di ruolo e tenuto lontano per motivi profilattici (era tubercolotico). La Cardinal scrive molto, nonostante la sua malattia psicologica, da lei definita la Cosa. Passa intere giornate chiusa in casa e nonostante un matrimonio e tre figli arriva ad una forma di malattia autodistruttiva, la depressione, che decide di curare con la psicoanalisi.
Il romanzo
“Le parole per dirlo” è un romanzo autobiografico in cui la scrittrice parla della sua malattia; relegata in casa, senza poter mai uscire, e questo avviene sino all’età di trent’anni, passa la sua esistenza tra il bagno e la camera a causa di emorragie, improvvise e copiose che le rendono la vita assolutamente invalidante. Trema dentro e fuori ed è perennemente in ansia.
Conduce una vita impossibile senza ricevere il minimo aiuto dalla famiglia; la madre, ossessionata dalla vita sociale che conduce in quanto donna ricca cattolica e piena di ossessioni e un padre assente e malato.
Non ci sono vie d’uscita se non, alla fine, la decisione di Marie di sottoporsi alla psicoanalisi tre volte alla settimana. Lei che normalmente è silenziosa e distaccata, inizia a parlare a raffica. (1)
Lo psicoanalista l’aiuta. A Marie si presentano davanti solo due strade entrambe spaventose: l’ospedale psichiatrico o il suicidio. Il dottore l’accoglie e l’ascolta mantenendosi tendenzialmente silenzioso e attentamente la contiene, ascolta le sue parole con la cosciente sapienza del silenzio con la domanda posta al momento giusto. Le fornisce delle conferme. Le parla con serietà e la invita a riflettere, le parla per la prima volta come si parla a una persona normale, nessuna commiserazione, nessun atteggiamento dotto o paterno. L’analisi dura sette anni. Marie esce dalla sua Cosa, dalle emorragie di natura psicosomatica che la dissanguavano e dalla voglia di morire. Una donna nuova ormai conscia del potere della madre su di lei e di quell’abuso che ha perpetrato nei suoi confronti. Non l’amava e la chiamava” bambina pidocchiosa pasticciona farfugliona”.
L’ossessione per la madre si stempera, l’odio e la rabbia si attutiscono.
Marie allora può congedarsi dal percorso psicoanalitico e dalla madre con queste parole. (2)
“Ti ho tirata fuori, vecchia mia, ti ho tirata fuori! Tutto ciò che aveva qualcosa di miracoloso, di fiabesco, di magico. La mia vita era completamente trasformata. Non avevo solo scoperto come esprimermi, ma avevo trovato da sola la strada che mi portava lontana dalla mia famiglia, dal mio ambiente, e mi permetteva di costruirmi un universo finalmente mio.” (3)
Questo romanzo è la storia di una rinascita, una rinascita possibile grazie all’analisi ma sicuramente molto lenta, dura e faticosa. Questo romanzo rende bene l’idea di cosa sia un’analisi, ma è insieme un viaggio in cui ci viene raccontato attraverso i ricordi che sottendono il percorso di una donna verso il suo diritto di vivere pienamente una nuova esistenza.